Di Nazzareno Lopez

Leggo sul nostro notiziario (anno 10, N° 1 – Marzo 2022) la sintesi del verbale del CUP (Consiglio di Unità Pastorale), ove gela la frase: “Oggi non si crede più” e ancora “non riusciamo a comunicare i valori”, che è come dire che il Vangelo non fa più breccia nel cuore delle persone. Ma è vero?
Ebbene c’è stato un teologo protestante, Dietrich Bonhöffer, che già nel 1944 notava che era arrivato il tempo non religioso degli uomini e si chiedeva il senso di una Chiesa, una comunità, una liturgia, una vita cristiana in un mondo non religioso. Senza voler entrare nel merito del suo itinerario teologico, peraltro impossibile in questo breve spazio, è possibile tuttavia estrarre quelle parti del suo pensiero che potrebbero suggerirci o almeno ispirarci su come affrontare l’evangelizzazione di un mondo senza Dio.
Devo tuttavia fare due precisazioni:
1°- Bonhöffer sembra essere al di fuori di una Chiesa; infatti, quando scrive le sue riflessioni dal carcere, è circondato dalla realtà nazista che ha pervaso l’intera società tedesca, di fatto una società dove Dio è stato emarginato se non eliminato del tutto.
Egli rimprovera alla sua Chiesa d’origine, che ha abbandonato, la sottomissione al regime e alla Chiesa Confessante, pure da lui fondata assieme ad altri per la salvaguardia della teologia cristiana, di non fare nulla per aiutare i perseguitati dal regime, cioè gli ebrei, i disabili e altri. Questo lo spinge ad una posizione molto critica nei confronti delle Chiese da cui proviene. Nulla a che vedere con la nostra Chiesa Cattolica, che anche in Germania, come in Italia, aveva sottoscritto concordati (vexata questio) con il preciso scopo di tutelare i propri aderenti e salvaguardare al massimo possibile la propria autonomia religiosa.
2°– a mio parere la sua visione teologica risente molto, se non del tutto, della visione teologica protestante, laddove privilegia l’autonomia e l’autoefficienza del comportamento umano nei confronti della crescita o maturità dell’umanità stessa.
Egli giunge alla conclusione che non è l’umanità che abbandona Dio ma è Dio che lascia che l’uomo lo abbandoni gradualmente perché si sviluppi, cresca, maturi, in modo che possa riconoscersi in modo più veritiero davanti a lui. Cioè Dio ci fa conoscere che dobbiamo vivere come uomini capaci di far fronte alla vita senza Dio.
Come avviene questo distacco?
L’uomo ha imparato a badare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro: Dio (cioè Dio veniva chiamato in causa in tutte le attività umane), e non meno bene di prima. Nel campo scientifico, ma anche nell’ambito generalmente umano Dio viene sempre più respinto fuori della vita e perde terreno… restano le questioni ultime: la morte e la colpa cui solo Dio può dare risposta. Ma fino a quando? Per inciso già oggi, per quanto riguarda la morte, l’uomo vuole arrogarsi il diritto al fine vita (stabilisco io quando staccare la spina…) e della colpa molti non sanno cosa sia…
Egli (Dio) si lascia cacciare fuori dal mondo sulla Croce, che segna la sua impotenza e la sua debolezza nel mondo e solo così egli ci sta a fianco e ci aiuta, non in forza della sua onnipotenza, ma della sua debolezza, della sua sofferenza (redentrice). Quindi la maggiore età del mondo cancella una falsa immagine di Dio (il Dio ex Ma-china) e apre al Dio della Bibbia che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza.
Come? Chiamando i cristiani a condividere soffrendo la sofferenza di Dio in rapporto al mondo senza Dio. Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo. Pertanto essere cristiani non significa essere religiosi in qualche modo, ma significa essere uomini.
Come? Dimenticando se stessi per lasciarsi trascinare con Gesù sulla sua strada, proprio ora, nei modi che il Vangelo indica, ad es.: chiamata alla sua sequela, sedendosi alla tavola con i peccatori, convertendosi nel vero senso della parola, con gesti di amore (come quello della peccatrice), guarendo gli ammalati, accogliendo i bambini.
Cioè Gesù chiama alla vita… quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi (cioè a realizzare noi stessi) e disponibili a vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, successi, insuccessi, esperienze, perplessità, allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, … così si diventa uomini, si diventa cristiani… la Chiesa è Chiesa solo se esiste per gli altri e quindi capace dell’interpretazione non religiosa dei concetti teologici… sia nella dogmatica che nell’etica.
Ci sono poi molte altre cose che Bonhöffer dice, per es.: sulla sofferenza quale via verso la libertà, ed altro ancora, ma qui non è possibile. Per chi fosse interessato a conoscerlo meglio consiglio il volume: Dietrich Bonhöffer “Resistenza e resa – lettere e scritti dal carcere”.
Certo Bonhöffer suggerisce un modo molto impegnativo per presentare Dio a un mondo che lo ha cancellato dalla propria esistenza, ma se si guarda bene è proprio il modo evangelico praticato da Gesù, e non poteva essere altrimenti: formazione dell’uomo, partecipazione totale alle sofferenze del prossimo in quanto sofferenze di Dio, capacità di un linguaggio che parli all’uomo.
N.B.: In grassetto estratti dal testo di Bonhöffer
Articolo di Nazzareno Lopez, tratto dal Bollettino Parrocchiale Giugno 2022